Evidentemente no, si direbbe leggendo l’ultima performance del settore registrata da Ania. Il tappeto dei premi lordi contabilizzati del lavoro diretto italiano è sporco di sangue e il cadavere che giace sul tappeto pesa circa 16 miliardi di euro: cotanta è la differenza tra le raccolte 2010 e 2011.
Preoccupante.
Il vita perde 18 punti, in lieve crescita il ramo danni, +2,6 percento, grazie alla sempiterna suerte dell’auto – sarà che è obbligatoria? Totale emorragia = -12,2 percento rispetto all’esercizio precedente. Cifre da crisi postunitaria, con Monti al posto di Sonnino, Lehman bros nelle vesti della Banca Romana, la Cgil a fare le veci dei proto-socialisti, Camusso nei panni della Kuliscioff.
Manca poco e dovremo contenere il prezzo del pane… O peggio ce la prenderemo (come già ci hanno indotto a fare) con la plutocratica Germania per un bel finalino a colpi di spread all’arsenico e carriole piene di svalutatissime lirette, buone per fare la spesa quotidiana.
Tutto questo ci induce a chiederci se c’è spazio per mantenere quote. O almeno se c’è qualche filino di speranza per chi fa il nostro lavoro. La grande paura è quella di osservare il portafoglio-torta dell’intermediario del prossimo futuro eroso fetta a fetta sempre più consistentemente, fino alla fame, all’anossia. Gli italiani stringono forte la cinghia assicurativa quando la congiuntura è sfavorevole, lo sapevamo, e la cosa non è certo incoraggiante.
Eppure…
Qualche spazietto di manovra ce lo potremmo ricavare, qualche salvifica boccata di ossigeno (teorico e pratico) che magari ci faccia superare ‘sta buriana, beh, forse la potremmo tirare.
Ecco qua un paio di pensate sparse.
La malattia del futuro sarà pessimismo condito di incertezza
Così si è espresso Enrico Finzi, sociologo e presidente di AstraRicerche, nell’intervista odierna di Insurance Daily. Lo ascriviamo tra i pessimisti, anche se 3 anni fa tra i pessimisti era il più ottimista e intravedeva segni di ripresa.
Oggi parla con lingua non pelosa di depressione generalizzata; ma anche del ruolo dell’agente che, sfidato dai mala tempora che putroppo currunt, potrà dispiegare la sua professionalità e superare la crisi con una ricetta facile facile: innovazione, auto-motorizzazione (“marcia in più”), ripensamento del modello agenziale, approccio consulenzial-coccoloso verso un cliente desideroso di essere accudito, accompagnato per mano, consigliato, rassicurato. Non è poco, chiaro, ma è possibile. Raccogliamo il consiglio e lo estendiamo a tutti gli intermediari.
Io al web non vi rinunzio!
Eh sì, beccatevi questa: gli americani al web non sanno dire di no.
Non c’è bouquet di alcolico per quanto armonico, cioccolato per quanto psicotropo, addirittura sesso per quanto sfrenato e gaudioso, che tengano. Tutto questo può essere espunto dalle nostre abitudini di vita, ma internet no. Mai.
Questa è la (folle?) posizione di zii e cugini d’America. E se i loro behaviours sono l’avanguardia anticipativa dei nostri costumi europei e italiani in particolare, allora traiamone una semplice lezione: sfruttiamo meglio il canale. Come? Beh, ci sarebbe molto da dire. Per adesso mi sento solo di consigliare di usare i social, donando.
Sintesi
Un sguardo attento sulla difficoltà del nostro presente (ipertrofico ed incerto) lo lancia, in una recente intervista a Repubblica, l’antropologo del nonluogo Marc Augè che da pessimista denuncia il latrocinio dell’idea stessa di futuro, un furto vero e proprio perpetrato
- ora dalla crisi mondiale e
- ora dall’avvento delle nuove tecnologie;
ma da ottimista è convinto che scienza e tecnologia possano realizzare futuri impensabili e ancora non pensati, dischiudendo nuove possibilità. Ma per riappropiarsi del futuro rubato e della nostra ammaccata progettualità occorre
raccogliere fino in fondo la sfida della conoscenza. È solo il sapere che può schiuderci le porte di un domani migliore. Forse il segreto della felicità degli individui e delle società sta nel cuore delle ambizioni più vertiginose della scienza.
E per realizzarle le due priorità assolute sono il potenziamento immediato dell’istruzione pubblica e il raggiungimento effettivo dell’eguaglianza fra i sessi. Detto in altre parole: la scuola e la donna.
E allora buttiamoci anche noi nell’agone della tecnologia, della scienza e della conoscenza. E pretendiamo che circolino di più, meglio e più democraticamente. Assicuriamo sì, ma rassicuriamo anche. Sperimentiamo, studiamo, innoviamo.
Non sarà infatti l’assicurazione in sè, ma il sapere, compreso quello assicurativo, ad essere veramente resistente alla recessione. E a rappresentare la base su cui fondare la nostra ricchezza.
Pier Luca Ciangottini
l.ciangottini@gmail.com
Se hai qualche altra ricetta, anche meno generica di quella che ho riportato, raccogli anche tu la sfida della conoscenza: condividila qui sotto con noi. Grazie.