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Gli Zeppelin e le assicurazioni che ci auguriamo

E’ diventato un brutto vizio il mio.
Penso a qualcosa di assicurativo e finisce che in un  modo o nell’altro le sinapsi mi suonano qualche riff di Stratocaster e poi più chiaramente un pezzo in quattro/quarti di chiara fama rock il cui testo ha sempre a che fare con il mio tema.

Chitarristi nei magnifici '70

Chitarrista nei magnifici '70

Non so se è grave, ma rock & insurance non mi sembra un binomio molto probabile. Né un gran che ballabile. Anche se a onor del vero esiste un intermediario molto travel che si chiama Rock e che lavora nell’inglesissima contea del Sussex e un broker di ampio ventaglio di prodotti e lunga storia che, di istanza a Cambridge, sembra inglese anche lui, ma è canadese dell’Ontario.

Stavolta comunque è toccato ai Led Zeppelin quando performavano What is and what should never be. Guardateveli qui: non erano potentissimi? Stavano scrivendo una pagina della grande storia del rock che non ingiallirà mai, condendo testi da hobbit con chitarre sporche e ritmi che fanno ancora scuola. Ed era solo il 1970. Che è anche il mio anno di nascita. Un caso? Mia madre dice di sì, ma spesso mi mente, soprattutto sulla filogenesi mia e di Jimmy Page.

Ma perché ti è venuto in testa questo motivetto che ti piace tanto?

chiederanno i miei pochi lettori.
Ebbene pensavo al futuro dei prodotti assicurativi. Che cosa ci dovremmo aspettare? Cosa ci chiederanno i nostri clienti? Cosa realizzaranno le fabbriche? E soprattutto: cosa dovrebbero e cosa non dovrebbero comprare i nostri connazionali in tempo di crisi?

Si possono fare alcune considerazioni. Cominciamo dalle assicurazioni retail da salvare, anzi da suggerire.

  1. Assicurazioni ok

    Assicurazioni ok

    Si sta imponendo – anzi si è imposto – un modello di fruizione di beni e servizi sempre più svincolato dalla proprietà. Si paga l’utilizzo temporaneo e non più la piena disponibilità a tempo indeterminato. E’ solo con una licenza d’uso che possiamo legalmente accendere il nostro personal computer e fare il bootstrap di Windows (o di Ubuntu, se non sei un fan di Gates).
    Uso e non proprietà: l’assetto occidentale dei consumi ha acquisito una nuova fisionomia. Lo sa bene chi opta per un noleggio auto a lungo termine, chi preferisce pagare un affitto, chi acquista qualche partita su Sky, chi spende sempre tutto e non riesce né vuole accumulare ricchezza.  Volendo fare brutta sociologia potremmo inserire nel calderone idealtipico del fruitore temporaneo e contemporaneo anche chi acquista tecnologia pagando pericolosamente con il posticipo delle rate e chi si scarica solo i brani che gli piacciono da Itunes e non si compra il cd intero.
    Vi sembra esagerato?
    Non lo è: quella di vivere le cose della vita “a scadenza” potrebbe essere anche una scelta consapevole. Infatti adottare uno stile di vita temporary ha i suoi vantaggi, innanzitutto fiscali: non hai niente? Meglio: il tuo profilo di contribuente ha contorni sfilacciati e sfocati, sei poco individuabile.
    Comunque sia, a malincuore o meno, speculativamente o no, usare a tempo è la parola d’ordine, il pay per use è il futuro. Per cui di massima vedo bene l’RCA a consumo (leggetele sempre bene le polizze chilometriche e occhio alle rivalse). Come pure mi piacciono cose come euro city weekend di Mondial Assistance. O, in tema di corpi navali e per rimanere sul travel come Rock l’intermediario, so che si praticano contratti marine a viaggio, a tratta. Quanto meno tutti questi sono prodotti assicurativi figli del loro tempo e sono risparmiosi. Per cui è giusto che ci siano, per dirla con Robert Plant e compagnia cantante.
    Ci sembra poi che in tempo di crisi sia giusto che ci sia (anche per chi ha redditi che si sono ristretti come i ragazzi) una serie di prodotti che adesso elenchiamo. Parliamo di prodotti chiari, storici, che svolgono la loro funzione sociale in modo adamantino. In sostanza esistono per proteggere gli assicurati che, se non fossero tali, potrebbero passare i guai loro. Dunque pollice alto per:

    • assicurazione malattia, con qualche perplessità, perché il nostro vituperato SSN funziona, davvero;
    • long term care, il miglior modo di affrontare con serenità la quarta età;
    • invalidità, da malattia o da infortunio, per non pesare troppo su chi ti sta vicino;
    • temporanee caso morte, a protezione dei tuoi debiti perché la famiglia abbia di che pagarli;
    • protezione della abitazione per proprietari, aspiranti tali e affittuari; e per finire
    • quella che gli angloamericani chiamano business insurance o liability coverage, la rc per i professionisti.
  2. Assicurazioni ko

    Assicurazioni ko

    Non ci dovrebbero essere mai, parafrasando gli Zeppelin, altre soluzioni che ci apprestiamo a nominare. Prima però chiediamo ammenda a chi le ha realizzate, intermediate e sottoscritte, se lo ha fatto in buona fede. Bocciamo sì, ma tagliando con l’accetta e ce ne scusiamo perché non si può fare di ogni erba un fascio. Comunque – a grandi linee – pollice verso per:

    • dread disease anticipativa, che limita il caso di erogazione dell’ importo convenuto al menifestarsi di un elenco limitato di patologie gravi che potrebbero essere affrontate più serenamente – insieme a tutte le altre –  con una buona sanitaria, senza decurtazione di capitali caso morte;
    • income protection insurance, perché meglio risparmiare e crearsi da soli un paracadute finanziario;
    • miste, poco chiare
    • e tutte le forme automatiche e latenti di protezione del credito altrui.

    Invito tutti ad allungare, modificare e soprattutto criticare i grossolani elenchi che ho pubblicato sopra. Grazie.

    Pier Luca Ciangottini
    l.ciangottini@gmail.com

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L’intermediario su Facebook

Una risorsa web che consulto spesso è il blog di Mario Vatta.
Lo dico spassionatamente, senza secondi fini e senza conoscere personalmente l’autore: mi piace.

Networking

Networking

Non è la sola fonte in rete che consulto e che riscontra il mio gradimento, ma ha alcune caratteristiche che lo rendono assolutamente outstanding nel mio giudizio sul blogging assicurativo nostrano e queste caratteristiche le enucleo così:

  1. mi piace sempre quello che pensa e che poi autorevolmente scrive;
  2. mi piace come lo scrive.

Lo dico per rivendicare una verità solare che spesso si dimentica: è il blogger che fa il blog. Il suo spessore, la sua esperienza, la sua penna.

Tiro fuori Mario Vatta e il suo diario online perché rileggevo un suo articolo della scorsa estate sul futuro degli intermediari, anzi sul loro troppo passato che zavorra la loro (nostra) miope progettualità. E’ un post duro e sincero che non fa sconti alla categoria e che mi sento di sottoscrivere in tutto. O quasi.

Credo infatti che l’idea che l’autore ha dei social network possa essere accolta in parte. Premetto che i social non mi fanno impazzire: aveva ragione Marshall McLuhan quando diceva che ogni medium dovrebbe essere valutato per le conseguenze sociali che comporta. E i nuovi strumenti ne hanno di pesantissime in termini di drastico abbassamento della complessità del linguaggio e quindi del pensiero, ad esempio (o di sonno non goduto!). Purtuttavia anche ai disprezzati mercanti medievali forse non piaceva viaggiare carichi di merce su e giù per lo stivale, tra conventi poco accoglienti e borghi di povera gente. Eppure era il loro mercato.
E’ innegabile che l’investimento in termini di attenzione e flessibilità è ingente, ma non per questo l’intermediario non può permetterselo.
Al contrario penso che debba sperimentare ogni forma di interazione web, per quanto onerosa.
Chiarisco: bloggare, seguire, partecipare, condividere, ottimizzare, donare se si vuole, è faticoso (e io ne so qualcosa). Ma ci sono decine di migliaia di prospect più o meno giovani – non solo Millennials – dietro ogni computer collegato alla rete.
Di fronte a retroilluminati rettangoli di pixel, ci sono opportunità in carne e ossa, ci sono potenziali clienti, ci sono persone. Uomini e donne che – con mezzi diversi, ieri vis a vis, oggi mediatamente attraverso la ragnatela – manifestano sempre la stessa attitudine, la stessa inclinazione ad acquistare la relazione prima di tutto. E’ solo cambiata la dinamica relazionale,  il modo di vivere ed esercitare il rapporto interpersonale, ma non  è cambiata la gente. E’ per questo che gli intermediari dovrebbero curare la loro presenza social: per trovare clienti. In modo apparentemente più spersonalizzato, senza imbrogliare e dichiarando sempre il proprio fine, incrementando il proprio score reputazionale, dialogando e spiegando, ovvero facendo con la tastiera quello che si è sempre fatto: consulenza.

Al broker del futuro non serve implementare un comparatore o creare imprese di e-commerce per vendere online. Sarà sempre più gratificante e sicura una transazione realizzata da una diretta. Quello che gli servirà per incrementare il suo portafoglio o almeno difenderlo efficacemente, sarà rispondere ad un quesito su Facebook, interagire su un gruppo LinkedIn, condire la propria presenza web con il mix nitroglicerinico sempre vincente di umanità e professionalità.

Mi interessa sapere cosa pensi di quello che ho scritto, commenta o rispondi al velocissimo sondaggio pubblicato qui sotto. Grazie.

Pier Luca Ciangottini
l.ciangottini@gmail.com

Pitch Engine logo

Pitch Engine logo

Post scriptum: da oggi provvedo a pubblicare una versione compressa, nei limiti in cui ciò è di volta in volta possibile, su di una risorsa creata per questo: pitchengine.com.
Qui c’è il link di questo stesso post.
Puoi condividere questa versione bonsai su FB o TW, inviarlo via email a chi vuoi tu o assegnargli un Goolge +1!

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€uro remunerazione del broker

Siamo intervenuti riproponendo l’annosa questione del conflitto di interessi rilevabile in capo al broker. Ora, senza starci ad interrogare sulle conseguenze distributive e culturali e soprattutto sulla reale portata del divieto del monomandato inserito (ma come?) nel pacchetto liberalizzazioni delle assicurazioni del governo Monti, segnaliamo qualche considerazione di respiro sia italiano che europeo sul tema della remunerazione del broker.
Il doppio registro ci svela ancora quanto gap assicurativo ci toccherà colmare, se mai lo colmeremo: in Europa (e in America) ci si interroga dal 2005 – ma anche da prima – sulla liceità della sistematica pratica dei rappel provvigionali per volume e redditività; da noi a colpi di tar si stabilisce che il costo del broker è “a norma” nei capitolati d’appalto…

Chiarezza prima di tutto.
Prima però, se parliamo della remunerazione dell’intermediario broker dobbiamo fare un po’ di luce sulla questione. Con quali meccanismi il broker viene remunerato? Non si vive di sole provvigioni, verrebbe da dire, e infatti il panorama delle modalità con cui si è pagati per l’attività di intermediazione è piuttosto ampio, e volendo disegnare una mappa della composizione dei ricavi del broker ci affidiamo all’interim report della commisione europea, alias indagine sul settore delle assicurazioni per le imprese, anche se vecchiotto (2007).

Soldi

Soldi

Per inciso: da leggere l’interessante report conclusivo, se piace. Allora, ligi al più disinvolto dei glossari di nota informativa, procediamo con le definizioni.

  1. Provvigioni
    Le provvigioni sono pagamenti fatti dall’impresa di assicurazione (o riassicurazione) agli intermediari, in cui l’ammontare del pagamento è fissato come parte percentuale del premio della polizza piazzata, comprese eventuali entrate successive dovute alla regolazione dei premi rispetto alle condizioni originarie.
    Il premio assicurativo pagato dall’assicurato comprende, in tal caso, il prezzo della copertura del rischio così come la tariffa per il servizio di mediazione, essendo i due elementi correlati.
  2. Contingent commissions
    Sono tutti quei pagamenti (esclusi i compensi ricevuti dai clienti e le provvigioni descritte sopra) fatti dagli assicuratori agli intermediari (esclusi gli agenti in esclusiva), in cui l’ammontare erogato dipende dal raggiungimento di target concordati relativi al collocamento di un certo volume di business dell’intermediario con quell’assicuratore.
  3. Profit commissions
    Per profit commissions si intendono quelle provvigioni o importi pagati dall’assicuratore agli intermediari per il raggiungimento di obiettivi di rendimento, o altrimenti collegati alla redditività del volume di affari dell’assicuratore con quell’intermediario. Nella misura in cui queste provvigioni non sono pagate agli agenti in esclusiva, le profit commissions sono delle sotto-categorie delle contingent commissions, legate esclusivamente alla redditività.
  4. Fees
    Le fees sono remunerazioni pagate agli intermediari dai clienti in aggiunta o in sostituzione delle provvigioni ricevute dagli stessi da parte dell’impresa assicuratrice. Sono relative da un lato, all’allocamento della polizza; ad esempio, vanno a retribuire l’attività degli intermediari nel cercare la soluzione assicurativa per il cliente, che comprende la consulenza prima e dopo la stipula della polizza, dall’altro alla prestazione di ulteriori diversi servizi a pagamento.
  5. Compensi da servizi offerti alle imprese di assicurazione
    Altri introiti per i broker derivano dai seguenti servizi agli assicuratori ritenuti più comuni e finanziariamente più significativi: broking riassicurativo, emissione di polizze, accertamento dei danni, gestione delle richieste di risarcimento, amministrazione delle richieste di risarcimento, amministrazione delle polizze, servizi di contabilità, modellizzazione dei rischi e osservazione dei rischi.

Definito il terreno linguistico comune, vediamo le posizioni dei due attori di questo spettacolo ancora in cartellone.

  1. In Europa.
    Nell’interim report (relazione intermedia, in italiano) si legge – sotto la voce fee:

    In un ambiente competitivo i broker potrebbero trovarsi a retrocedere alcune o tutte le loro commissioni in cambio di una fee concordata. Per i broker vi possono essere dei vantaggi derivanti dalla remunerazione libera, tra cui la possibilità di avere delle entrate più stabili in periodi in cui il volume dei premi o le quote delle provvigioni subiscono dei cali.

    L’indagine delle commissione aveva un obiettivo dichiarato, quello di riscontrare in ambito europeo le risultanze dell’inchiesta Spitzer che in terra statunitense aveva scoperchiato la maleodorante pentola delle contingent commissions e posto in termini molto perentori la questione della indipendenza dell’intermediario a stelle e strisce.
    Quali furono i risultati della CE? Beh, leggiamoli nel report:

    I broker operano sia come consulenti per i clienti, sia come canale di distribuzione per l’assicuratore, spesso con potere di assumere i rischi (underwriting powers) e con mandato di sottoscrizione (binding authority). Questo duplice ruolo può essere fonte di conflitti di interesse tra l’imparzialità della consulenza offerta al cliente ed il proprio interesse economico.
    Sono molteplici le fonti di conflitto di interesse legate alla remunerazione che potrebbero compromettere l’integrità del lavoro dei broker e degli agenti plurimandatari. Tra queste, le “contingent commissions” e le quote per altri servizi resi agli assicuratori. Nonostante l’inchiesta Spitzer abbia avuto un certo impatto, le “contingent commissions” rientrano ancora nelle pratiche commerciali di alcuni di questi intermediari.
    La mancanza di trasparenza sulla remunerazione degli intermediari riduce le possibilità di concorrenza dei prezzi in relazione alla mediazione dei servizi. Le “contingent commissions” sono infatti legate alla fornitura stessa della copertura assicurativa.

  2. In Italia.
    Da noi, invece:
    […] si nega la specifica onerosità del contratto di assicurazione, se c’è un broker, in quanto per il cliente il premio finale resta invariato […]. Per cui: nessun danno ingiusto per la pa. Così la corte dei conti;
    Il tar Veneto reputa ammissibile la clausola broker e stabilisce che l’intermediazione del broker non è un costo aggiuntivo per il cliente. Capito?

Si dirà che anche da noi c’è stato fermento, che qualcosa si è mosso, che l’Aiba…
E soprattutto si dirà che l’Italia è in Europa, ma non è così. La Danimarca, la Svezia e la Finlandia, che hanno attuato da tempo pratiche di disclosure degli importi provvigionali, per esempio, loro sì che sono in Europa.

Pier Luca Ciangottini
l.ciangottini@gmail.com

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